Di Francesco, Giovanni e Luca Storchi con nonno Enzo
Foto della Sq Falchi del Roma 65
Cari amici di Avventura,
siamo tre fratelli scout (Ancona 7): amiamo la natura e abitiamo a Pietralacroce di Ancona, dentro il Parco del Conero.
Queste sono alcune storie di quando gli animali… ci hanno sorpreso e che oggi vi vogliamo raccontare!
Dall’età di 9-10 anni i nostri genitori ci hanno sempre lasciati liberi di scendere, anche senza un adulto, da casa nostra giù per il sentiero della Scalaccia che dall’abitato di Pietralacroce arriva fino al mare. Si chiama Scalaccia quel che resta di un’antica via pedonale tracciata più di un secolo fa sulle rocce calcaree dai cosiddetti contadini-pescatori: quando si liberavano dal lavoro dei campi s’avventuravano in mare per pescare con le loro barche di legno custodite in grotte scavate nella roccia in riva al mare e così integravano il reddito della famiglia. Questa località e questo sentiero si trovano sulle pendici esterne del Conero, che è il monte d’Ancona: da quando, qualche decina d’anni fa, è stato istituito il Parco Regionale del Conero, questa zona segna il confine del parco e, da allora, gli animali si sono moltiplicati.
E questo ci piace: scoiattoli neri in arrampicamento sui tronchi delle querce, istrici che lanciano i loro aculei quando sono in pericolo, cinghiali grandi e piccoli come quel cucciolo rimasto impigliato nella rete di recinzione della casa di un vicino e liberato dal papa munito di guanti di protezione; e anche il gatto-pescatore che scende ogni giorno a procurarsi pesce in mare e fa parr cour, si esibisce con salti acrobatici tra gli alberi quando si sente osservato dai passanti …
Tutte queste storie e quelle che racconteremo di seguito sono ambientate qui, alla Scalaccia.
*
Quel giorno coi fratelli e gli amici stavo risalendo verso casa il ripido pendio e ci eravamo fermati per riprender fiato. All’improvviso vedemmo un grosso cane di colore grigio, tutto grigio dalla testa alla coda. Ci prese paura perché non aveva guinzaglio e non si vedeva il padrone. Al piccolo trotto la bestia s’avvicinava. Ci siamo guardati tra noi per capire che fare. Ci dicemmo: mai fuggire davanti ai cani, che hanno l’istinto dell’inseguimento. Perciò rimanemmo impietriti, un po’ per la paura e un po’ per la scelta di non provocarlo.
L’animale non si mostrò ostile, s’avvicinò, prese a strusciarsi sulle nostre gambe con espressione amichevole.
La nostra ansia s’allentò, qualcuno con movimento lento allargò il palmo della mano, lui la leccò. Allora tutti l’accarezzammo.
Dopo poco arrivò il padrone e gli chiedemmo di che razza fosse il cane.
“Non è un cane. E’ un lupo!”. Ci guardammo, di nuovo spaventati. “E’ un lupo addomesticato da tempo; è più buono di un pezzo di pane!” disse il padrone.
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Un giorno scendevamo in bici, nella parte più comoda del sentiero. A tre quarti del percorso, vidi un cane grosso e peloso come un batuffolo di zucchero filato. Lo teneva al guinzaglio una bambina e questo mi rassicurò sul buon carattere del cane; mi dicevo: “se i genitori lo affidano ad una bimba, vuol dire che è buono!”. Stava immobile al centro della stradina. Lo aggirai per non andargli addosso: mentre lo facevo, il cane mi aggredì e mi morse i glutei. Strillai terrorizzato. Sbucò fuori per fortuna il padrone adulto che lo fermò prima che potesse rifarlo. Scappai con una chiappa dolorante. Ero confuso, pensavo tra me: gli animali sono imprevedibili! Ho accarezzato un lupo e sono stato morso da un pelouche!
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Le gazze avevano fatto il nido sull’albero più alto del giardino di nonno Giorgio. Da qualche giorno avevano deposto le uova. Forse padre e madre si erano allontanati momentaneamente alla ricerca di cibo. Una cornacchia – evidentemente più ladra delle gazze – approfittò dell’occasione per avvicinarsi al nido e impossessarsi delle uova ancora chiuse.
Non aveva ancora iniziato lo strazio, quando all’improvviso arrivarono le gazze e iniziarono a beccare ripetutamente la cornacchia, una a destra e l’altra a sinistra, con salti fulminei e fulminei arretramenti. La nera e grossa cornacchia, presa alla sprovvista, non seppe resistere alle più piccole rivali e non trovò di meglio che darsi alla fuga, mentre le gazze l’inseguivano.
Non sempre la forza ha la meglio. A difendersi efficacemente dai soprusi giovano la collaborazione delle vittime e la consapevolezza di difendere una causa giusta, come la propria famiglia.
Francesco, Giovanni e Luca Storchi con nonno
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